Abbiamo già osservato come i trattamenti a base di cloro siano tra i più efficaci e diffusi nella pratica comune di disinfezione e potabilizzazione dell’acqua.
Infatti, il cloro, nelle varie forme in cui è impiegato (ipoclorito di sodio, biossido di cloro, etc), è un disinfettante ad ampio spettro: annienta buona parte dei microrganismi batterici dannosi per l’uomo, tra cui il batterio Legionella pneumophila, ma anche spore e virus; possiede inoltre un’ottima persistenza, ovvero il suo effetto si mantiene nel tempo.
L’aggiunta di cloro in soluzione acquosa produce diverse reazioni i cui prodotti si distinguono tra cloro libero (es. acido cloridrico e ipocloroso) e composti di cloro qualora il cloro reagisca con altri composti organici o inorganici a formare nuovi composti. L’azione disinfettante viene determinata dalla quantità di cloro libero “attivo” presente in una soluzione acquosa.
Tuttavia, l’immissione di cloro in una soluzione acquosa lascia diverse tracce e sottoprodotti quali, ad esempio, i trialometani (clicca qui per l’articolo dedicato). I sottoprodotti della disinfezione sono composti a base di cloro che sono molto persistenti ed in grado di arrivare sino al punto finale della rete di distribuzione.
Problemi legati all’utilizzo del cloro
Se da un lato l’utilizzo del cloro per garantire la potabilità lungo tutta la rete di distribuzione di un acquedotto può sembrare indispensabile (chi meglio del cloro abbatte la carica batterica nell’acqua?), vi è sempre il rovescio della medaglia. Infatti, la presenza di cloro nella rete acquedottistica causa due principali problemi che i consumatori di acqua da rubinetto spesso lamentano:
- altera l’odore ed il gusto dell’acqua, rendendola di qualità inferiore rispetto a come sgorga da una sorgente o da un pozzo di emungimento;
- i limiti imposti per legge determinano le condizioni di sicurezza entro cui la concentrazione di cloro non è dannosa per il nostro corpo, ma questo non vuol dire che il cloro non sia presente nell’acqua.
Curioso come il D.Lgs. 31/2001 stabilisca il valore minimo del cloro libero pari a 0,2 mg/l da “rispettare in ogni punto della rete quando il gestore ritenga necessario un trattamento di clorazione dell’acqua” (ma che in realtà viene mantenuto anche laddove non sia richiesto) e in un secondo momento dichiari che “questo però può portare a una eccessiva presenza di cloro nelle vicinanze del punto di immissione in rete, con degrado delle caratteristiche organolettiche dell’acqua e […] l’aumento di concentrazione dei trialometani lungo la rete”.
Qualità dell’acqua
La quantità di cloro dovrebbe essere considerata come aspetto fondamentale dal consorzio acquedottistico che ha il compito di garantire l’approvvigionamento di acqua potabile di qualità alla cittadinanza.
Esistono tuttavia diverse soluzioni filtranti in grado di soddisfare sia le esigenze dei consumatori che non vogliono bere un’acqua che “odora” di cloro, sia di garantire costantemente specifiche qualità chimico-fisiche per chi adopera acqua nei processi industriali o per le grandi strutture come ad esempio piscine, alberghi e ospedali.
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